Con sentenza n. 741/2025 la Corte di Appello di Bari,, decidendo il caso di una lavoratrice non riassunta dalla impresa aggiudicatrice di un contratto di appalto pur in presenza della clausola sociale, ha concluso che l’associazione temporanea d’imprese costituisce un contratto innominato con effetti obbligatori esclusivamente inter partes, privo di soggettività giuridica autonoma; il raggruppamento temporaneo, invero, non crea un nuovo centro di imputazione giuridica ma i singoli partecipanti mantengono piena autonomia negoziale, economica e patrimoniale.
Il mandato collettivo conferito all’impresa capogruppo opera unicamente nei rapporti con la stazione appaltante, per gli atti dipendenti dall’appalto, senza estendersi ai rapporti con terzi estranei a quel vincolo contrattuale. La configurazione come ATI spiega efficacia solo nel rapporto interno tra committente pubblico e operatori economici raggruppati, non dissolve le singole soggettività in una persona giuridica distinta; i singoli partecipanti mantengono piena autonomia negoziale, economica e patrimoniale.
Nel caso portato all'attenzione della Corte di Appello la lavoratrice impiegata amministrativa (livello 3A) era stata alle dipendenze di una società privata che gestiva il servizio di raccolta rifiuti urbani per un comune. Il rapporto di lavoro con tale società era proseguito fino al marzo 2022, quando una nuova gara europea ha determinato il cambio di gestione del servizio. L’appalto era stato aggiudicato a un’ATI composta da due società. La documentazione di gara prevedeva espressamente l’applicazione della clausola sociale ex art. 6 CCNL FISE Assoambiente e art. 50 D.Lgs. 50/2016, che garantisce il riassorbimento del personale già impiegato dal gestore uscente. L’ATI aggiudicataria rifiutava di assumere la lavoratrice sostenendo che il profilo amministrativo non era contemplato nel progetto tecnico approvato, che prevedeva solo personale operativo per quel cantiere.
La società uscente, pertanto, risolveva il rapporto di lavoro per cessazione dell’appalto e la lavoratrice conveniva in giudizio l’ATI per ottenere l’assunzione e il risarcimento del danno.
Con ricorso in appello le società appellanti hanno contestato l’ammissibilità stessa della domanda, evidenziando il vizio nella vocatio in ius poichè la ricorrente aveva citato in giudizio l'ATI costituita da due società, anziché le singole imprese individualmente considerate.
La Corte, accogliendo gli appelli delle società raggruppate, ha censurato l’assunto del Tribunale secondo cui la costituzione in giudizio di entrambe le società avesse sanato il vizio di vocatio in ius. La ratio decidendi si fonda sulla distinzione tra efficacia sanante della costituzione e corretta individuazione del soggetto verso cui sono rivolte le pretese giudiziali. Non sussiste, infatti, l’entità datoriale evocata dalla ricorrente: l’ATI non può essere destinataria di provvedimenti di condanna, mancando di personalità giuridica e patrimonio proprio. Le domande di “ordinare all’ATI di assumere” e “condannare l’ATI al pagamento” risultano strutturalmente ineseguibili, riferendosi a soggetto giuridicamente inesistente.
La Corte di Appello richiamando la costante giurisprudenza (ex plurimis Cass. n. 27937/2024 che distingue nettamente il raggruppamento temporaneo dal consorzio con attività esterna ex art. 2602 c.c.) ha sottolineando come l’ATI mantenga natura di aggregazione occasionale retta da mandato collettivo speciale, senza creare organizzazione comune.
avv. michele de benedittis